Quello che segue è solo un cut&paste da http://www.facebook.com/loredana.lipperini/posts/4879532301094
Dobbiamo ricominciare a porci delle domande di fondo molto semplici, ma dalle risposte difficilissime. Vale a dire che cosa vogliamo per gli altri e per noi; non che cosa sia comunismo, ma che cosa pensiamo di volere per gli altri e per noi. In questo senso stasera è per me come se mi ricollegassi a dieci anni fa. È come se questi dieci anni avessi dormito o sognato. Non ho dormito, né sognato. Sono stato in gran parte imbavagliato; e non soltanto dai nemici, anche dai compagni. Sono stato imbavagliato dalla mia stessa storia, dalla mia stessa angoscia, dalla mia stessa fatica. Non chiedo nessuna pietà , né considerazione per questo. Pietà e considerazione, rispetto si deve ai carcerati ingiustamente; si deve a coloro che sono vittime dell’ingiustizia, non a coloro che sono stati troppo deboli o troppo vili. Non escludo affatto che si possa parlare di viltà anche per me, per non aver saputo parlare… Ma notate: è facile dire: non hanno parlato. Si dimentica che nel mondo moderno non importa tanto chi e che cosa dice, quanto dove dice e parla; e insieme a chi e in che senso. Ebbene, il nemico è riuscito perfettamente a togliere quelle sedi nelle quali il discorso poteva avere un vero senso, cioè non essere semplicemente un grido di dolore, un appello umanitario, una mozione degli affetti. Ci ha tolto quello. Ci ha lasciato la mozione, la dichiarazione da firmare, questo sì – le firme! Che non servono a niente, ereditate da un ventennio precedente di inutili firme, alle quali ci aveva abituato esattamente la sinistra italiana, Partito comunista e socialista, negli anni che vanno dal ’45 in poi. Le firme! Non abbiamo saputo inventare altro che la macchina per tagliare il burro… Le firme! Oppure quella sorta di sistema ben congegnato della stampa più o meno ufficiale – perché è tutta ufficiale oggi, secondo me, dal «manifesto» alla «stampa» di Torino al «Corriere della sera» al «Messaggero» di Roma –, dalle trasmissioni di Enzo Biagi a quelle della TV di Stato, nelle quali, per dir cosi, ci sono delle regole non scritte, delle regole di buona educazione, alle quali sottostai o taci. Credo che nessuno abbia mai visto la mia faccia in televisione. È un modo di tacere.